La normativa
La Legge 68/99 ha come finalità la promozione dell’inserimento lavorativo delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e collocamento mirato (art. 1, L 68/99).
Per collocamento mirato dei disabili si intende quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto, attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione (art. 2, L 68/99).
Specificatamente, l’art. 11 della L. 68/99 contempla la stipula di convenzioni di integrazione lavorativa: al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei disabili. Gli uffici competenti possono stipulare con il datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla legge. Nella convenzione sono stabiliti i tempi e le modalità delle assunzioni che il datore di lavoro si impegna ad effettuare. Tra le modalità che possono essere convenute vi sono anche la facoltà della scelta nominativa, lo svolgimento di tirocini con finalità formative o di orientamento, l’assunzione con contratto di lavoro a termine, lo svolgimento di periodi di prova più ampi di quelli previsti dal contratto collettivo, purché’ l’esito negativo della prova, qualora sia riferibile alla menomazione da cui è affetto il soggetto, non costituisca motivo di risoluzione del rapporto di lavoro.
La convenzione può essere stipulata anche con datori di lavoro che non sono obbligati alle assunzioni. Gli uffici competenti possono stipulare con i datori di lavoro convenzioni di integrazione lavorativa per l’avviamento di disabili che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario. Nell’attuazione delle disposizioni dettate dalla Legge n. 68/99, è stato emanato Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, come modificato dal il Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 75. Tale norma, all’art. 39-ter, istituisce l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche con più di 200 dipendenti, di nominare “il Responsabile dei processi di inserimento delle persone con disabilità”, al fine di garantire un’efficace integrazione nell’ambiente di lavoro dei soggetti con disabilità.
I compiti affidati al Responsabile di processi di inserimento delle persone con disabilità sono:
- curare i rapporti con il centro per l’impiego territorialmente competente per l’inserimento lavorativo dei disabili, nonché con i servizi territoriali per l’inserimento mirato;
- predisporre, sentito il medico competente della propria amministrazione ed eventualmente il comitato tecnico di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, gli accorgimenti organizzativi e proporre, ove necessario, le soluzioni tecnologiche per facilitare l’integrazione al lavoro anche ai fini dei necessari accomodamenti ragionevoli, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori;
- verificare l’attuazione del processo di inserimento, recependo e segnalando ai servizi competenti eventuali situazioni di disagio e di difficoltà di integrazione.
La Convenzione ONU
Con la legge 12 marzo 1999, n.68 le persone con diverse abilità vedono finalmente riconosciuto il loro valore nei luoghi di lavoro, passando da una visione ispirata all’idea dell’inserimento degli invalidi nelle imprese come un “peso” da sopportare in chiave solidaristica (legge 2 aprile 1968, n.482) ad un sistema diretto, invece, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.
Nasce così il tema dell’accessibilità, dell’abbattimento delle barriere architettoniche, della postazione di lavoro personalizzata e dell’orario di lavoro flessibile, volto ad ottimizzare e a rendere utile il lavoro del personale inserito dalle categorie protette.
Un altro obiettivo che va a delinearsi è quello di far percepire come non sia la patologia in sè (non modificabile ne eliminabile) a creare difficoltà sul luogo di lavoro, bensì l’ambiente lavoro che si manifesta ostile e talvolta impraticabile: si sente, quindi, come necessaria un‘ulteriore modifica legislativa, volta da un lato a rendere fruibili le aree lavorative al personale disabile, dall’altro ad assicurare al datore di lavoro che il dipendente non sia solo un onere economico, ma anche una fonte di produzione e che le modifiche volte all’inserimento degli stessi siano sostenibili e ragionevoli.
Con la Legge 3 marzo 2009 n.18, l’Italia ratifica e dà esecuzione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con la quale “l’accomodamento ragionevole indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali” (art.2). La Convenzione specifica che “le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri” (art.1 c.2).
La discriminazione sulla base della disabilità – secondo la definizione che ne viene fornita dall’articolo 2 – “include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole”. Dunque, l’eventuale rifiuto di accomodamento ragionevole da parte del datore di lavoro costituisce discriminazione.
La Cassazione sottolinea inoltre che “la Corte di Giustizia europea […] ha rilevato che l’art.5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che la riduzione dell’orario di lavoro può costituire uno dei provvedimenti di adattamento di cui a tale articolo, competendo al giudice nazionale valutare se la riduzione dell’orario di lavoro rappresenti un onere sproporzionato per il datore di lavoro”.
Concorsi, bandi e prove d’esame
Le sedi concorsuali devono avere caratteristiche architettoniche tali da permettere il movimento e lo svolgimento della prova in autonomia e sicurezza a tutte le categorie ( sordi, ciechi, menomati, carrozzati, disabili cognitivi, ecc..) a tutela della cosiddetta “accessibilità universale”. Devono essere considerate caratteristiche come: la fonetica, le capacità di illuminazione naturale/artificiale, le ampiezze delle porte, la larghezza e la pendenza dei connettivi, l’interspazio e il passo tra banchi, la presenza e la fruibilità dei bagni per portatori di handicap. Deve considerarsi il metodo di raggiungimento del luogo d’esame e fornire alternative come mezzi pubblici o sistemi di navette a chi non è automunito o non ha possibilità di accompagno. Devono essere forniti gli ausili e i tempi aggiuntivi ove necessario per lo svolgimento del concorso.
Il parere del medico competente
Il medico competente sottopone a prima visita i nuovi dipendenti prima dell’inizio del tirocinio formativo e stabilisce le mansioni lavorative idonee da svolgere all’interno dell’ente in rispetto alla capacità residue lavorative dichiarate ai sensi della legge 68/99 dall’INPS nei protocolli d’invalidità. Ruolo del medico è anche quello di prescrivere gli aggiustamenti ergonomici e gli ausili necessari alla postazione minima di lavoro, anche avvalendosi di pareri esterni di categoria per una migliore valutazione degli ausili e dei flussi di approvvigionamento. Durante le visite periodiche, il medico competente valuta l’idoneità del lavoratore alla mansione specifica assegnata e, nel caso lo reputi opportuno, può fornire indicazioni o prescrizioni al datore di lavoro circa ulteriori adeguamenti ragionevoli.